Idee e spunti per un tour alla scoperta dei beni dell’Umanità della Colombia, da Cartagena ai Parchi Nazionali, tra natura, cultura e storia in stile America Latina
Un itinerario alla scoperta dei Patrimoni UNESCO della Colombia può rappresentare un’utile traccia per chi stia progettando un viaggio tra Caraibi e Sud America. Il paese equatoriale, quarto quanto ad estensione nel continente ed unico ad affacciarsi su due Oceani (la porzione caraibica dell’Atlantico a Nord e il Pacifico a Est), conserva un’estrema varietà paesaggistica e ambientale, che passa dalle vette vulcaniche delle tre cordigliere andine alle valli fluviali tropicali, fino alle isole, anch’esse di diversa conformazione e aspetto, e una complessa fisionomia storico-culturale, segnata, nel suo nucleo fondamentale, dall’incontro tra popolazioni indigene, amerindie e inca, e conquistadores spagnoli. In questo articolo seguiremo gli World Heritage Sites dello stato (6 culturali e 2 naturalistici) in un tour della Colombia ricco di sorprese e spunti.
Cartagena de Indias
Il primo sito entrato a far parte dei Patrimoni UNESCO della Colombia è emblematico dell’importanza che la stagione coloniale ha rivestito nel definire l’identità del paese latinoamericano. Il Porto, Fortezza e Monumenti di Cartagena, nominato nel 1984, preserva un bocciolo di pietra e patii freschi di giardini, la cosiddetta “Ciudad Amurallada”, un Real Alcázar a misura urbana, una bomboniera di piazzette intime come salotti, chiese barocche e palazzi loggiati, palme e aranci, che nella tiepida sera si riempie di uomini e ombre. Andalusia e America, corona spagnola e scorribande di pirati, avventura e conquista, nostalgia e dolce riposo. La città fu fondata nel 1553 dall’esploratore Pedro de Heredia, il quale individuò una baia ben riparata sulla costa dei Caraibi, che gli ricordava l’insenatura dell’omonimo centro portuale di origine punica della Murcia, coronata da isole che creano una sorta di corridoio naturale, di cui la principale è l’Isla Tierra Bomba che fa quasi da boa centrale rispetto all’imboccatura del golfo. Gli Spagnoli provvidero ben presto, data la posizione strategica a livello commerciale e militare, a cingere Cartagena con quello che, tutt’oggi, rappresenta uno dei più estesi sistemi di fortificazioni di tutte le Americhe, eretto dal 1600 alla seconda metà del 1700: a Tierra Bomba sopravvivono i castelli di San José e di San Fernando de Bocachica, edificato nel 1741, con il bastione curvo che dà direttamente sull’acqua del passaggio sudoccidentale (Boca Chica, la “bocca piccola”), San Juan de Manzanillo e San Sebastián de Pastelillo, verso la costa, lato Bocagrande. Sistema ramificato cui fa da architrave il castello di San Felipe de Barajas, risalente al 1657, simile, in distanza, a una piramide maya per il suo sviluppo concentrico che avvolge un’intera collina.
All’interno della cerchia muraria, la Cartagena storica si suddivide, in modo regolare e armonico, in tre quartieri, cioè San Pedro, artistocratico e clericale, impreziosito dalla cattedrale e numerosi palazzi in stile andaluso – mudéjar, San Diego, destinato alle classi mercantili, e l’area popolare del Gethsemani. Imperdibili il Duomo di San Pedro Claver, dalla sobria facciata di pietra, in tipico stile gesuitico, che conserva poglie di Pietro Claver Corberó, santo protettore delle missioni religiose nell’Africa nera, nomina dovuta al fatto che il giovane prete spagnolo, membro della Compagnia di Gesù, giunto a inizio 600 a Cartagena, vi passò oltre quarant’anni ad assistere la popolazione di colore che giungeva seguendo la tratta degli schiavi; la Torre del Reloj, che dal XIX° secolo indica i vari momenti del giorno ai cittadini, innalzata alle spalle della porta d’ingresso principale al porto attraverso la quale si accede a Plaza de los Coches; la Casa de la Inquisición, con la facciata bianca, i balconi in legno e il fastoso portale in pietra d’ingresso; Las Bóvedas, mercatino artigianale ospitato nelle 23 celle del lungo e basso edificio porticato dalla tinta gialla intensa, addossato a un tratto interno delle mura cittadine, costruito dagli Spagnoli a fine 700 con la funzione di prigione; il Cerro de la Popa, colle verde che costituisce, con i suoi 150 metri, il punto più elevato della città, dominato dal Convento della Virgen de la Candelaria, patrona di Cartagena.
Passeggiando per le vie del centro, vocianti, serene, adornate da installazioni scultoree (celebre La Gorda di Botero, nativo di Medellín), non ci si possono perdere le specialità di street food. Due consigli? L’arepa, hamburger composto di farina e burro che racchiude un cuore cremoso di formaggio, e il patacón farcito, che prende nome dalla moneta in corso durante il dominio iberico, due membrane fritte di platano, specie di banana selvatica, farcite con un mix di pesce fritto o carne, di tipico queso costeño, il formaggio prodotto nella zona litoranea del Caribe, uova, salsa guiso a base di pomodoro e cipolla e suero atollabuey.
Insomma, Cartagena non delude sotto nessun punto di vista.
Santa Crux de Mompox
Il secondo dei Patrimoni UNESCO della Colombia (1995) è un’altra perla coloniale. Fondata dagli Spagnoli su un’isola del fiume Magdalena nel 1537, a circa 300 km da Cartagena verso l’entroterra, Santa Cruz de Mompox, dal nome del capotribù indigeno che era signore della zona all’arrivo dei conquistadores, rappresenta l’esempio meglio conservato di insediamento dell’epoca. Nascosta nella folta vegetazione delle anse, la cittadina, estesa per 458 ettari, dorme in un sogno sospeso che rende ragione di quanto Gabriel Garcia Marquez, il padre del realismo magico, più che un genere letterario, l’anima visionaria, rapita, del popolo colombiano, scrisse in Il generale nel suo labirinto “Mompox no existe. A veces soñamos con ella, pero no existe”, cioè “Mompox non esiste, a volte la sogniamo, ma non esiste.” A pronunciare la frase il protagonista del romanzo, Simón Bolívar, il quale, storicamente, ebbe a dire che se Caracas gli diede i natali, doveva tutto a Mompox, dove reclutò lo zoccolo duro dell’esercito rivoluzionario. Città assonnata, porticata e acquattata, ancora scandita dalla suddivisione, sociale e urbanistica, tra nobili e commercianti, un miraggio superstite che incarna nella propria sostanza eterea l’inconscio del Sud America, la sua febbre india latente, l’apocalittica venuta degli Spagnoli, i sogni di grandezza e unità frustrati, abbandonati a un’indolenza fatalista. Qui sono state girate non a caso molte delle scene della trasposizione cinematografica realizzata da Francesco Rosi (1982) dal capolavoro di Garcia Marquez Cronaca di una morte annunciata di García Márquez, adattandosi Mompox a scenografia per le vicende di quell’antico mondo di provincia latinoamericano di cui l’autore avvertiva ancora gli influssi, sotto molti aspetti nefasti da un punto di vista culturale e politico, nel suo tempo.
L’ospedale più antico delle Americhe rimasto in uso, chiese dai sobri prospetti a capanna variopinti e interni fastosi, palazzi nobiliari e eleganti, l’arte metallurgica e orafa ancora praticata a eccellenti livelli. Bentornati nel Vicereame della Nuova Granada.
Parco Archeologico San Agustín
Risalendo il corso del fiume Magdalena fino al comprensorio andino del Macizo Colombiano, assistendo al mutare dall’aspetto di ampio serpentone a quello di impetuoso torrente montano che incide canyon profondi, si ritorna, al contempo, alle sorgenti della civiltà latinoamericana. Il Parco Archeologico San Agustín, a 1700 metri di quota, è il più enigmatico, lunare, dei Patrimoni UNESCO della Colombia: si tratta del principale complesso precolombiano in tutto il Sud America di megaliti monumentali e statuari, con funzioni funerarie, sepolture a tumulo, terrazze, strutture cerimoniali, distribuite in un arco cronologico compreso tra I e VIII secolo e attribuibili a una popolazione di etnia Inca. L’elemento più caratteristico del sito – composto, oltreché dal San Augustin propriamente detto, dall’Alto de los Idolos e dall’Alto de las Piedras – risiede nelle tombe a dolmen sorrette da idoli antropomorfi, forse raffiguranti dei tutelari dell’oltretomba o antenati. Impressionante la Fuente de Lavapatas, letto di torrente inciso con scanalature a forma di serpenti e lucertole, una sorta di fonte battesimale in cui purificare, nell’acqua, il ciclo delle vite. Nel cuore dei monti.
Parco Archeologico di Tierradentro
Rimanendo in tema di archeologia e Patrimoni UNESCO della Colombia, circa 240 km a nord di San Agustín si può visitare un altro sito al quale è accomunato da notevoli parentele, stilistiche e simboliche, oltreché dall’aria di mistero iniziatico, legato alle cose ultime, da officiare nel grembo della terra, come dice il suo nome, Tierradentro, tra le Ande lussureggianti della Valle del Cauca, un giardino d’alta quota di piantagioni di caffè e banane. Nelle concrezioni tufacee incluse nel parco – articolato in quattro aree, Alto de San Andrés, Alto de Segovia, Alto del Duende, El Tablón – furono ricavati, tra VIII° e X° secolo d.C., circa 160 ipogei, di cui il più ampio misura 7 metri di profondità e 12 di larghezza, decorati con linee geometriche, antropomorfe o zoomorfe, rosse e nere. La somiglianza di queste cavità funebri con le abitazioni della zona indica una concezione cultuale e religiosa che tendeva a sottolineare la continuità tra la vita e la morte e una precisa concezione del destino ultraterreno riservato all’uomo. Quando si scende nelle camere sotterrane attraverso le scale a chiocciola scavate dentro la roccia si ha l’impressione di tornare a una dimensione iniziale. Nel buio grembo dell’esistenza.
Qhapaq Ñan, il sistema delle strade andine
Il prossimo dei Beni dell’Umanità della Colombia è localizzato nella porzione sudorientale del paese, condiviso con il confinante Ecuador, Perù, Bolivia, Argentina e Cile. Tale ramificata distribuzione si spiega agevolmente pensando al patrimonio in questione, il sistema stradale degli Inca, oltre 30.000 km di vie di comunicazione, percorsi commerciali e difensivi, che raggiunse l’estensione massima nel XV°, all’acme dell’espansione e del consolidamento di Tawantinsuyu, l’Impero. Qhapaq Ñan, in lingua quechua “cammino principale”, si diramava in quattro tronchi principali da Cusco, capitale e ombelico del mondo, in Perù, in modo da raggiungere le altrettante suddivisioni amministrative dello stato incaico, coprendo l’intero sviluppo della cordigliera andina. Circa 300 siti testimoniano la straordinaria arditezza di infrastrutture che dalla foresta tropicale passavano a deserti sconfinati, guadavano passaggi inaccessibili e si spingevano fino ai 6000 metri di quota, e parlano di uno splendore svanito in un’aurea di mito. Mulattiere oggi sconnesse, costeggiate da muretti a secco, cotte dal sole e sferzate dalle intemperie, negli scenari più spettacolari del Sud America.
Paesaggio culturale del caffè
Un reticolo di altopiani, vallate, picchi montani livellati quasi a gradoni, verdissimi, fitti di vegetazione immersa in una tiepida umidità, sotto la cui penombra densa di vapori covano le gemme rosse di una delle bevande più apprezzate nel mondo, che qui raggiunge i propri vertici quanto a qualità del raccolto e della raffinazione, il caffè. In questo ecosistema agricolo, nel quale cultura umana e ambiente naturale si integrano in una meraviglia cadenzata, echeggiante di stille che lacrimano dalle foglie e di tonfi secchi di macheti che tranciano i rami carichi di chicchi, serpeggiano le strade sinuose che attraversano il cosiddetto Paisaje Cultural Cafetero, divenuto uno dei Patrimoni UNESCO della Colombia nel 2011, in virtù della mirabile interazione tra sfruttamento del territorio e ambiente che crea un paesaggio rurale perfetto, da dipinto. Il circuito include 6 aree produttive e 18 villaggi risalenti alla colonizzazione dell’Antioquia, dall’intatta atmosfera iberica, come Manizales, Armenia, Pereira, centri abitati dove si riproducono gesti lenti, arcaici, alle radici dell’identità tradizionale di un popolo ibridato di apporti indigeni, spagnoli e africani, sperduti nel folto di piantagioni vaste quanto acrocori, punteggiate di placide aziende coloniche, un’enorme serra profumata di caffè.
Parco nazionale Los Katíos
C’è un’area, a cavallo tra Panama e Colombia, dove la Pan-American Highway, la più lunga rete stradale carrozzabile al mondo, che parte dall’Alaska e arriva nella Terra del Fuoco, deve interrompersi. Perciò si chiama Darién Gap, uno iato di paludi e foreste tropicali che ammantano un territorio lievemente accidentato da colline alte, al massimo, 600 metri. Uno scrigno eccezionale di endemismi e biodiversità, prototipo vergine del continente, popolato da gruppi indigeni Embera-Wounaan e Kuna, che si muovono nell’intrico infinito di vita vegetale a bordo di agili piroghe. Per comprendere l’enorme valore faunistico di questa cerniera geografica e biologica, fondamentale almeno dal Cenozoico, tutelata dai 72000 ettari del Parco Nazionale Los Katíos, Patrimonio UNESCO dal 1994 (confinate col panamense Parco Nazionale del Darién, altro bene dell’umanità), basti pensare che vi prosperano, nonostante si estenda in Sud America, specie tipicamente mesoamericane, altrove ormai rare, quali il coccodrillo americano, il formichiere gigante e il tapiro centroamericano. Circa 450 gli uccelli e 20 % di piante endemiche della regione del Chocó-Darien. Un richiamo delle origini.
Santuario della Flora e della Fauna dell’Isola Malpelo
A 500 km dalla costa orientale, in pieno Oceano Pacifico, incontriamo l’ultimo dei Patrimoni UNESCO della Colombia. Uno scoglio lavico di appena 1 kmq di estensione, screziato di scabra macchia vegetale, intorno al quale si sviluppa uno dei serbatoi di biodiversità marina più abbondanti del mondo. L’Isola Malpelo è la meta dei sogni per gli appassionati di shark diving: tra i suoi fondali si aggirano circa 200 squali martello, 1000 squali seta, squali balena, tonni, 17 mammiferi marini, 7 rettili marini, 394 pesci e 340 molluschi, e rappresentano uno dei pochi habitat in cui è stato confermato l’avvistamento di un particolare squalo toro di profondità. Le acque sono incluse in parco di 900 ettari, la più ampia area preclusa a pesca nel reame del Pacifico Orientale Tropicale. Un luogo dove riscoprire il silenzio dell’abisso.
Candidature
Sono 18 le candidature di Patrimoni dell’UNESCO della Colombia. La “tentative list” include siti molto differenti per caratteristiche e criteri di inserimento. Dalla Ciudad Perdida di Buritaca 200, un intaglio di gradonate e piazze dell’VIII° secolo ottenute sui fianchi della Sierra Nevada, alla biforcazione fluviale artificiale del Canale del Dique, costruito dagli Spagnoli nel XVI° secolo per collegare il Rio Magdalena e Cartagena. Segnaliamo, tra i più suggestivi, il deserto di Tatacoa, 330 kmq di calanchi marziani, molto amato dagli astroturisti, e l’area caraibica dell’Arcipelago di San Andres, Isla de Providencia e Santa Catalina. La Colombia da sogno.